Relazione architettonica:
Contrapposizione
1): Dinamismo del ponte
(passaggio, attraversamento); Staticità della piazza (luogo di sosta, d’incontro)
Contrapposizione
2):
La Città
urbanisticamente fortemente strutturata (spazi “chiusi”);La Natura, le aree sportive,
il colle (spazi ”aperti”)
Da
un lato la “promenade”, la passeggiata sul ponte, arricchita di “eventi”
artistici e di sosta, dall’altro, l’espansione della piazza-fuoco del tridente
come porta di accesso, quasi avamposto dell’area per il nuovo Museo d’Arte
Contemporanea e, più in là, del nuovo Auditorium.
La Città “chiusa” entra in una struttura a “guscio” per svilupparsi
poi in una struttura a costole, che “respira” verso la Città “aperta”.
Anche
le banchine riflettono questo dualismo: più densa di attrezzature sportive e
circoli la banchina verso il tridente, più naturalistica ed organica la
banchina verso Monte Mario.
Questo
è uno dei punti dell’alveo tiberino dove maggiore è l’utilizzo delle banchine a
quota fiume: perché non inserire questa vocazione nella nuova struttura urbana
che dovevamo progettare ?
Abbiamo
inteso interpretare dinamismo, staticità, apertura, chiusura, attraverso
l’analisi del corpo umano. Un passo di danza in un’istantanea di Roy Volkmann.
Il
disegno complessivo del ponte è a simmetria apparente perché tale è, a nostro
parere, la “richiesta” di quel luogo, della sua struttura urbana, del suo
intorno. Ma la sua fruizione svela uno sviluppo asimmetrico e dinamico nel
quale coesistono percorsi, trasversalità, rampe ciclabili, scale.
Abbiamo
optato per un colore neutro, tale che l’inserimento nel contesto fosse
silenzioso, e al crepuscolo fossero solo le “linee” luminose longitudinali che
illuminano la passeggiata sopra ed il fiume sotto ad esser viste.
L’attacco
del ponte con le due sponde è caratterizzato da una serie di terrazze
(piazze/rampe) che degradano progressivamente verso il fiume. Queste sono
sorrette da un sistema a palafitta che consente lo sviluppo della vegetazione
al di sotto di esse.
In
particolare, da via Guido Reni l’accesso è consentito anche grazie ad un
sistema di rampe che dal centro della piazza sottopassa il Lungotevere per
sfociare sulla banchina.
Relazione strutturale
E’
stata nostra ferma decisione fin dall’inizio quella di interpretare il tema del
ponte come motivo per l’applicazione di materiali e tecnologie all’avanguardia
così come da più di due secoli accade, a partire cioè dall’applicazione della
ghisa nel Coalbrookdale Bridge di A. Darby III (1775-1779) fino ad arrivare
all’uso del cemento armato precompresso in tutte le sue potenzialità nei
numerosi ponti (e relativi brevetti) di R. Morandi, ed arrivando ad oggi, in
cui non si parla più di ghisa, ferro, acciaio, c.a., ma di materiali compositi,
di fibre ad altissime prestazioni, di carbonio o di kevlar, il cui impiego nel
campo dell’edilizia scaturisce da settori come quello militare, aerospaziale e
sportivo.
Il primo ponte realizzato con materiali compositi fibrosi
risale al 1980, realizzato a Dusseldorf, il Lunen’sche Gasse: una passerella
pedonale in c.a. precompresso con cavi in Gfrp (Glass fiber reinforced
plastic). Del 1990 è il Mito Bridge in Giappone con nastri in kevlar applicando
il sistema di produzione Pultrusion.
L’uso di questi materiali consente di costruire un ponte
con una massa che è da 1/5 ad 1/10 quella di una tradizionale struttura in
calcestruzzo. Altra caratteristica è la velocità di costruzione grazie al peso
ridotto e alle possibilità di modularità nonché di “confezione su misura”.
Tutto ciò tende a bilanciare quello che rappresenta fino ad oggi il rovescio
della medaglia di queste applicazioni: l’aspetto economico. Inoltre, i
materiali compositi offrono un ciclo di vita molto più lungo e con una
necessità di manutenzione molto bassa.
Comparando
un profilato in acciaio e un pultruso in fibra di carbonio si ottiene un
rapporto di 4:1 in favore del pultruso; vale a dire che questo è 4 volte più
leggero e presenta prestazioni meccaniche molto più elevate.
La
nostra scelta è ricaduta sul Kevlar
(fibre aramidiche) applicato col processo del “Contact Moulding” piuttosto
che il “Pultrusion” in quanto il primo permette di realizzare, a parità di
costi, elementi più lunghi.
Lo
schema strutturale adottato è quello di due campate a sezione variabile affiancate, con un appoggio a circa un terzo
di ognuna delle due campate. Questo ha
permesso la riduzione della luce totale da dover superare oltre ad un
irrigidimento ulteriore di tutto il sistema.